Una promessa di libertà.
È quella che Dio ha fatto a Mosè e agli Israeliti prigionieri in Egitto per convincerli a lasciare la loro condizione di schiavitù e mettersi in viaggio verso la Terra Promessa ed è la stessa promessa che il Signore formula quotidianamente a ognuno di noi per uscire dalla nostra condizione di falso benessere e metterci in cammino verso una vita più vera e libera.
Questo il tema del campo diocesano giovanissimi di Azione Cattolica, appena concluso ad Ormea. Quarantasei i partecipanti che, sotto la guida degli educatori, dell’assistente diocesano don Alessandro Ghersi, di don Goffredo Sciubba e don Diego Basso e del seminarista Gabriele Bodda, hanno vissuto una settimana nello stile tipico dell’AC fra attività formative, condivisione, gioco e preghiera.
Nelle diverse giornate di campo, i partecipanti hanno riflettuto sul loro stile di vita, sulle guide che li accompagnano, sulle difficoltà che possono ostacolare il cammino, mettendo in gioco sentimenti, emozioni, desideri e paure, simili a quelle che si leggono nelle parole di Anna Mastrantuono, una delle giovanissime che ha partecipato a questa bella esperienza:« La vera prigione è l’ignorare di vivere incatenati. Poco denaro per poter stare tranquilli, poco tempo per godersi le persone, poco coraggio per farsi domande. Ciascuno è prigioniero di qualcosa, ciascuno porta catene invisibili che non gli permettono di assaporare la vera libertà, ciascuno è intrappolato e non è in grado di godersi la propria felicità. Inutile dirlo, i primi tra tutti sono proprio i giovani. Pieni di voglia e di coraggio sono incastrati in mille problemi e, cercando di divincolarsi, finiscono per essere ancora più imbrogliati dalla matassa che si stringe sempre più sui loro sogni. Però è proprio questo desiderio di libertà che spinge ragazzi con vite distanti e idee diverse ad incontrarsi e, per una settimana, ad estraniarsi dal mondo. Vivere una vita di comunità riuscendo, non solo a toccare quella piccola e dolce libertà che è l’amicizia, ma anche ad imparare a camminare con i fratelli e a toccare il cielo! Ma perché allora è solo la minoranza che insegue questo sogno? Perché delle migliaia di ragazzi della diocesi solo una cinquantina hanno scelto di partire e di perseguire questo ideale di libertà? Il motivo forse è perché la nostra società è prigioniera di quell’inquietudine che sorge nel momento in cui si affronta se stessi.
Fa paura scrutarsi e scoprirsi intrappolati in gesti meccanici e vite noiose, fa male scoprire che le scelte fatte hanno portato solo a bui vicoli ciechi. Ma la bellezza della nostra Fede è proprio che, come ci ha tenuto a ripetere il seminarista Vincenzo, non siamo soli dentro di noi, Gesù è e sarà sempre lì pronto a dirti: «ricordati che in due ce la facciamo!». Perciò le lacrime che scendono lente sulle guance di un ragazzo che sa di essere giunto all’ultimo campo Giovanissimi non sono dovute al pensiero di lasciare i propri amici, ma alla paura di non farcela fuori da quel mondo. Perché la bellezza di queste esperienze è proprio la facilità con cui ti fanno percepire la pura e semplice dolcezza della libertà! Perciò potranno anche essere pochi ma dentro di loro hanno qualcosa in più, hanno un posto nel cielo, hanno una parte di cielo, hanno la libertà. Sono nella libertà».
Un verso di Whitman recita: «Sono un universo, contengo moltitudini».
Siamo sicuri che moltitudini come i giovani di AC realizzeranno la promessa di libertà.
Walter Scavello